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Catullo Poesie e Biografia

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2010 21:50
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29/03/2010 21:50

Poesia latina
BREVE BIOGRAFIA E OPERE DI CATULLO




Gaio Valerio Catullo
(Sirmione, Verona, 84 – Roma, 54 a.C.)


[data incerta]

Vita.



Catullo proveniva - come altri neoteroi - dalla Gallia Cisalpina e apparteneva ad una famiglia agiata: suo padre ospitò più di una volta Cesare nella loro villa a Sirmione, sulle rive del Lago di Garda (come c'informa Svetonio). Trasferitosi a Roma (intorno al 60) per gli studi, secondo la consuetudine dei giovani di famiglie benestanti, Catullo trovò il luogo adatto dove sviluppare le sue doti di scrittore: trovò, infatti, una Roma nel pieno dei processi di trasformazione (la vecchia repubblica stava vivendo il suo tramonto), accompagnati da un generale disfacimento dei costumi e da un crescente individualismo che caratterizzava le lotte politiche, ma anche le vicende artistico-letterarie. Entrò a far parte dei "neóteroi" o "poetae novi" ed entrò in contatto anche con personaggi di notevole prestigio, come Quinto Ortensio Ortalo, grande uomo politico e oratore, e Cornelio Nepote. Tuttavia, C. non partecipò mai attivamente alla vita politica, anche se seguì sempre con animo attento o ironico o sdegnato i casi violenti della guerra civile di quegli anni (non mancò di attaccare violentemente Cesare e i suoi favoriti, specialmente il "prefectus fabrum" Mamurra: ma Cesare seppe riconquistarlo…). Di contro, nella capitale, un giovane come lui - esuberante e desideroso di piaceri e di avventure - si lasciò prendere dal movimento, dal lusso, dalla confusione, dalla libertà di costume e di comportamento pubblico e privato, che distingueva la vita della città in quel momento. Tuttavia, la sua anima conservò sempre i segni dell'educazione seria, anzi rigorosa, ricevuta nella sua provincia natale, famosa per l'irreprensibilità morale dei suoi abitanti.

L'incontro con Lesbia-Clodia. Catullo. è stato definito, a buon diritto, come il poeta della giovinezza e dell'amore, per il suo modo di scrivere e di pensare: il tema principale della sua poesia è Lesbia, la donna che il poeta amò con ogni parte del suo corpo e della sua anima, conosciuta nel 62, forse a Verona, più probabilmente nella stessa Roma. Il vero nome della donna era Clodia, come ci rivela Apuleio nel "De magia" (chiamata Lesbia, "la fanciulla di Lesbo", perché il poeta implicitamente la paragona a Saffo, la poetessa e la donna amorosa appunto di Lesbo), identificabile con la sorella del tribuno della plebe (5 P. Clodio Pulcro (agitatore del partito dei "populares" e alleato di Cesare, nonché mortale nemico di Cicerone), e moglie - per interesse - del proconsole per il territorio cisalpino (tra il 62 e il 61) Q. Metello Celere.

Una storia difficile. La storia fra il poeta e Lesbia è molto travagliata: Clodia era una donna elegante, raffinata, colta, ma anche libera nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento: nelle poesie di C. abbiamo, così, diversi accenni allo stato d'animo provato per lei, a volte di affetto e amore, a volte di ira per i tradimenti di lei: tutto, fino all'addio finale.

Il lutto familiare e la crescente delusione d'amore: il viaggio in Oriente. Catullo era a Roma, quando ebbe la notizia della morte del fratello nella Troade. Tornò a Verona dai suoi e vi stette per alcuni mesi, ma le notizie da Roma gli confermavano i tradimenti di Lesbia (ora legata a M. Celio Rufo, quello stesso che Cicerone difese nella "Pro Caelio", rappresentando Clodia come una mondana d'alto rango, viziosa e corrotta). Il poeta fece così ritorno nella capitale, sia perché non riusciva a star lontano dalla vita romana, sia per l’ormai insostenibile gelosia. Deciso, infine, ad allontanarsi definitivamente da Roma, per dimenticare le sofferenza e riaffermare il proprio patrimonio, il poeta accompagnò, nel 57, il pretore Caio Memmio in Bitinia, esattamente il dedicatario del "De rerum natura" di Lucrezio. Laggiù, in Asia, il giovane C. entrò in contatto con l'ambiente intellettuale dei paesi d'Oriente; fu probabilmente dopo questo viaggio, dopo essersi recato alla tomba del fratello nella Troade per compiangerlo, che compose i suoi poemi più sofisticati, una volta tornato in patria.


Il ritorno e la morte.


Catullo tornò dal suo viaggio nel 56, e si recò nella villa di Sirmione, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita, consumato fisicamente da un’oscura malattia (mal sottile?) e psichicamente dalla sfortunata esperienza d’amore e dal dolore per la morte del fratello.


Opera.


Il "Liber" catulliano [vers.lat] consta di 116 di "carmi" (per un totale di circa 2300 versi), raggruppati in 3 sezioni non in base ad un ordine cronologico, bensì in base al metro ed allo stile, seguendo un criterio di "variatio" e di alternanza fra temi affini, secondo la mentalità e l'usanza tipiche degli editori alessandrini. Abbiamo, così:

- (cc. 1-60) sono brevi carmi polimetri che Catullo chiama "nugae", o "coserelle", "versi leggeri": ovvero, espressioni di una poesia intesa come "lusus", scritta cioè per "gioco", per passatempo e divertimento, a cui però il poeta stesso consegna la propria profonda e tormentata personalità e augura l'immortalità;
i metri più usati sono


l'endecasillabo falecio (il più frequente), il trimetro giambico puro, il coliambo, la strofa saffica minore, il priapeo, il tetrametro giambico catalettico, l'asclepiadeo maggiore, il trimetro giambico archilocheo;



- (cc. 61-6 sono definiti "carmina docta", di maggior respiro e complessità, tal che si è portati ad individuarvi un maggiore impegno compositivo [ma, a tal proposito, vd. oltre].

Si tratta di elegie, epilli ed epitalami nei quali cresce il tono esplicitamente letterario, lasciando naturalmente ancora spazio alle caratteristiche catulliane: ovvero, l’epitalamio per le nozze di Manlio Torquato; un altro epitalamio, in esametri, studiata e felice trasposizione moderna di Saffo; l' "Attis", poemetto in versi galliambi, strana evocazione dei riti dedicati alla dea Cibale, un pezzo di bravura callimachea; il celebratissimo carme 64, vasto epillio per le nozze di Péleo e Tétide (con inclusa la storia di Arianna), che è una piccola epopea mitologica sempre alla maniera di Callimaco; la traduzione in esametri della "Chioma di Berenice" di Callimaco, preceduta dalla dedica all’amico Ortalo in distici elegiaci; un’elegia epistolare di gusto alessandrino, che ricorda il tempo felice dell’amore di Lesbia.

- (cc. 69-116) sono carmi brevi e di presa immediata, o "epigrammata" (epigrammi, elegie): i temi sono praticamente gli stessi del I gruppo, ma resi con metro diverso: il distico elegiaco.

Il "liber" è dedicato a C. Nepote [c. 1], ma esso non è certamente il "libellus" della dedica, nel senso che questo doveva comprendere, per esplicita dichiarazione del poeta stesso, solamente le "nugae", e non anche i "carmina docta", come invece noi lo possediamo. L'opera, quale a noi è giunta, è - dunque - con molta verosimiglianza, una raccolta postuma, nella quale accanto ai carmi del "libellus" trovò definitiva sistemazione il corpus - non però integrale - della produzione poetica catulliana: insomma, di quella produzione, esso sarebbe una raccolta antologica.

Considerazioni sull'autore e sull'opera.

Le "nugae" e il difficile rapporto con Lesbia. Il I e il III gruppo costituiscono, come detto, le "nugae", a cui è consegnata tutta la storia dell’amore di C. per Lesbia, "frammentata" in 25 carmi che percorrono trasversalmente i due gruppi [cc. 2, 3, 5, 7, 8, 11, 36, 37, 38, 40, 43, 51, 58, 70, 72, 75, 76, 79, 83, 85, 86, 87, 92, 107, 109].
Le peripezie di questa vera e propria autobiografia d'amore "romanzata", proprio a causa di questa frammentazione e di una disposizione non cronologica delle varie tappe del rapporto, non ci appaiono molto chiare: dovettero esservi giorni (e per lo meno una notte) di felicità, ma anche molte sofferenze, giacché Clodia, checché se ne dica, prestava grande attenzione alla propria reputazione e al suo onore di gran dama, e anche, molto più probabilmente, perché lei e C. non concepivano l'amore nello stesso modo. Egli l'amava con la foga di un uomo giovane, si compiaceva nel fantasticare sull'idea che Clodia fosse per lui "la sua sposa"; a lei, invece, quel nodo nuziale, dal quale la morte di Metello la liberò peraltro piuttosto presto, ripugnava. Clodia, inoltre, era una donna che aspirava al successo e che amava civettare con uno stuolo di giovani al suo fianco: C. era solo uno fra i tanti, mentre avrebbe desiderato essere l'unico, in nome degli illusori diritti che dà l'amore. Quando si avvide che non era più amato, o quando se ne persuase, lo proclamò ad alta voce in versi atroci, dove pretendeva che Lesbia addirittura si prostituisse con chi le capitava. Seguì la separazione, dolorosa per lui e forse non senza noie per lei: "Amo e odio", le scriveva, "tu vuoi sapere perché è così? Non so, ma so che è così, e soffro."
Il disimpegno e la rottura. Dunque, nel rapporto con Lesbia C. programmaticamente (e in piena fedeltà alla poetica neoterica) trasferisce tutto il proprio impegno, sottraendosi ai doveri e agli interessi propri del "civis" romano (del resto, sebbene vissuto in un'epoca di grandi cambiamenti politici, egli nelle sue composizioni dimostra una grande indifferenza per le situazioni e per gli uomini più in vista, quali ad es. Cesare e Cicerone): tende insomma a ritagliarsi una sorta di "spazio del privato" ("otium"), dove vivere e parlare esclusivamente d'amore.

Orbene, come detto, quel rapporto amoroso - nato essenzialmente come adulterio, come amore libero e basato sull’eros - nel farsi oggetto esclusivo dell’impegno morale del poeta tende però, paradossalmente, a configurarsi nelle aspirazioni dello stesso come un tenace vincolo matrimoniale; o quantomeno come un "foedus", un ibrido originale – se vogliamo – dei due valori cardinali dell’ideologia e dell’ordinamento sociale romano (la "fides" e la "pietas"), trasferiti dal piano pubblico ad un piano più decisamente "privato", e quindi rinnovati nel loro significato.

Tuttavia, l’offesa ripetuta del tradimento (il "foedus violato") produce in Catullo una dolorosa dissociazione fra la componente meramente sensuale ("amare") e quella profondamente affettiva ("bene velle"), fin allora profondamente ed esistenzialmente intrecciate: resta forte il desiderio sessuale, mentre l'affetto, a fronte delle delusioni e del tormento della gelosia, diminuisce man mano d'intensità.

Gli altri temi. Tuttavia, il "Liber" catulliano non coincide esclusivamente e completamente con la tormentosa storia tra il poeta e Clodia (come invece spesso si pensa): accanto e in mezzo ad essa, quasi a formarne la cornice "di costume e società", si trovano numerosi altri carmi, cui sono consegnati gli altri "temi" che vanno a intarsiare la sfaccettata e complessa esistenza del poeta. La varietà di quei temi impone che se ne rilevino (come del resto è stato fatto anche da critici illustri) almeno i più "importanti" o quantomeno i più caratterizzanti, tal che sia possibile individuare dei veri e propri "cicli" alternativi e integrativi rispetto a quello amoroso: si trovano, così, carmi rivolti contro "vizi privati e pubbliche virtù", ovvero di polemica scopertamente sociale [ad es., contro i mediocri, i truffatori, gl'ipocriti e i moralisti] e letteraria [Catullo flagella i poeti che seguono le orme del passato, come ad es. Volusio], ma anche larvatamente politica [ad es., l'ironia contro il già detto Mamurra, un fidato di Cesare], in tono volentieri scurrile, satirico e spesso goliardico; carmi dedicati al tema dell'amicizia [per Veranio e per Fabullo, più spontanea; per Calvo e Cinna, più letteraria], un sentimento che C. vive quasi con la stessa intensità con cui vive l'amore (e altrettanto sdegnato e iroso è nei confronti degli amici che lo hanno tradito, ad es. Alfreno Varo); carmi, infine, che esprimono profondi affetti familiari e altissimi vincoli di sangue (alto è il senso della famiglia, in C.; non dimentichiamo, del resto, che il poeta voleva sublimare a livello "familiare" lo stesso sentimento provato per Lesbia): tra questi ultimi, spicca sicuramente il bellissimo c. 101, estremo e commovente saluto sulla tomba dello sfortunato fratello.

Continuità tra "nugae" e "carmina docta". Il II gruppo di carmi (61-6, invece, come accennato, è quello che più lega C. al movimento neoterico, e quello che più corrisponde alla variante romana del gusto alessandrino.

Ma la critica ha sottolineato come la distinzione tra "nugae" e "carmina docta" non implichi in C. l’impiego di un diverso impegno letterario o di una tecnica differente, bensì solo di un diverso livello espressivo: si tratta, insomma, in entrambi i casi, sempre di una lirica dotta e aristocratica (come i fruitori dell’opera), secondo i canoni estetici dei neoteroi, anche laddove l’effetto patetico e certe movenze apparentemente dimesse potrebbero far pensare ad un’espressione, per così dire, "popolare" (è, invece, come più giustamente è stata definita, "ricercata spontaneità").

La lingua.

La stessa lingua utilizzata è il risultato di un originale impasto di linguaggio letterario (uso di grecismi ed arcaismi) e "sermo familiaris" (uso di diminutivi, di espressioni prosastiche, proverbiali e "provinciali"), il secondo "filtrato" dal primo, a formare uno strumento agile e vivace, che riesce ad adattarsi ai temi, alle occasioni e ai registri più svariati: dall'affetto all'amore, dall'ironia all'invettiva, dall'intimo al pubblico.

C.atullo primo vero poeta romano dell'amore "soggettivo".
L’opera di Catullo, anche se non è ancora quella di un "elegiaco", è comunque l'espressione vivente di un sentimento personale e profondo, che ha già acquistato diritto di cittadinanza nella poesia: egli fa dell'amore (e attraverso questo, della poesia) l'unica ragione di vita, anzi in lui amore poesia e vita veramente coincidono.




ALCUNI CANTI





I. Cui dono

Cui dono lepidum novum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
meas esse aliquid putare nugas
iam tum, cum ausus es unus Italorum
omne aevum tribus explicare cartis
doctis, Iuppiter, et laboriosis.
quare habe tibi quidquid hoc libelli
qualecumque; quod, o patrona virgo,
plus uno maneat perenne saeclo.



I. A chi dono…

A chi dono un simpatico nuovo libretto
Appena ripulito con secca pomice?
Cornelio, a te: tu difatti solevi
pensare valer qualcosa le mie cosucce
già allora, quando hai osato unico degli Italici
spiegare tutta la storia con tre libri
dotti, per Giove, e complessi.
Dunque tieniti quanto più questo di libretto
quale che sia; ma lui, o vergine patrona,
duri perenne più di un secolo.



[Simpatica dedica amicale in cui Catullo con raffinata eleganza contrappone alla ponderosa e colta produzione di Cornelio le proprie "cosucce-nugae", che aspirano, grazie alla Musa, ad un perenne ricordo letterario (Fabia).
Metro falecio: si compone di cinque piedi. Il primo può essere trocheo, spondeo, giambo; il secondo è dattilo; gli altri tre sono trochei.
Cornelio Nepote ( ca. 99-24 a. C.), nativo della Gallia Cisalpina, fu autore di narrazioni storiche, imperniate spesso sugli uomini illustri.
Vergine patrona: si intende la Musa oppure Minerva, dea della Sapienza.]




IV. Phaselus

Phaselus ille, quem videtis, hospites,
ait fuisse navium celerrimus,
neque ullius natantis impetum trabis
nequisse praeterire, sive palmulis
opus foret volare sive linteo.
et hoc negat minacis Hadriatici
negare litus insulasve Cycladas
Rhodumque nobilem horridamque Thraciam
Propontida trucemve Ponticum sinum,
ubi iste post phaselus antea fuit
comata silva; nam Cytorio in iugo
loquente saepe sibilum edidit coma.
Amastri Pontica et Cytore buxifer,
tibi haec fuisse et esse cognitissima
ait phaselus: ultima ex origine
tuo stetisse dicit in cacumine, anafora
tuo imbuisse palmulas in aequore,
et inde tot per impotentia freta
erum tulisse, laeva sive dextera
vocaret aura, sive utrumque Iuppiter
simul secundus incidisset in pedem;
neque ulla vota litoralibus deis
sibi esse facta, cum veniret a mari
novissimo hunc ad usque limpidum lacum.
sed haec prius fuere: nunc recondita
senet quiete seque dedicat tibi,
gemelle Castor et gemelle Castoris. polptoto




IV. La barchetta

Quella barchetta, che vedete, amici,
dice d'esser stata la più veloce delle navi,
né la foga di nessuna tavola natante
potè sorpassarla, sia ci fosse bisogno di volare
con remetti che con la vela.
E questo nega di negarlo il litorale del minaccioso
Adriatico o le isole Cicladi
la nobile Rodi e la selvaggia Tracia,
la Propontide o la truce baia pontica,
dove costei, in seguito barchetta, ma prima
fu selva chiomata; sul giogo Citonio
spesso, parlando la chioma, lanciò un sibilo.
Anche nella pontica Amastri, Citore produttor di bosso,
la barchetta dice che questo ti fu e ti è
notissimo: afferma che si innalzò sulla tua cima,
da ceppo antichissimo,
inzuppò nella tua acqua i remetti,
e di lì per tante onde indomabili
portò il padrone, sia che un'aura sinistra
o destra chiamasse, sia che Giove favorevole
insieme battesse su entrambe le scotte;
e da lei non fu fatto al cun voto agli dei
litorali, quando venne dall'ultimo
mare fino a questo limpido lago.
Ma queste furon cose di prima: ora invecchia
in solitaria quiete e si consacra a te,
gemello Castore e gemello di Castore.




[Da semplice oggetto la barchetta-phaselus viene trasfigurata con dotta e raffinata eleganza di gusto greco in un mitico simbolo di tanto fantastica, quanto improbabile avventura
Trimetro giambico: si compone di sei giambi.
Propontide: si tratta del Mar di Marmara.
Baia pontica: è il Mar Nero.
Barchetta: si tratta forse di un ex-voto, che racconta la sua storia. Tale finzione letteraria è attestata da epigrammi greci in cui gli oggetti, quali personaggi, raccontano loro vicende.
Citore: monte dell'Anatolia
Castore e Polluce, due divini gemelli, considerati protettori dei naviganti.


Primaflora, il saggio dalla doppia personalità
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