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Aristofane - La pace

Ultimo Aggiornamento: 30/03/2010 12:32
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30/03/2010 12:32

La vita di Aristofane

Aristofane nacque nel 445 a.C. ca. ad Atene e morì nel 385 ca. Egli possedeva dei beni nell’isola di Egina, dove il padre era andato come colono ateniese. Ebbe un’ampia e accurata educazione letteraria e musicale: conobbe a fondo non solo la poesia, in modo particolare quella tragica, ma anche la filosofia e la sofistica. Non partecipò alla politica in modo attivo, non ricoprì mai cariche pubbliche. Esordì molto giovane: nel 427, a diciassette anni, con i Banchettanti sotto il nome di Callistrato. Con questo nome ottenne la prima vittoria al Leneo del 425, con gli Arcanesi. Solo nel 424 il poeta presentò con il proprio nome i Cavalieri, conseguendo un’altra vittoria.

La Commedia : La Pace


PERSONAGGI DELLA COMMEDIA:
Due Servi di Trigeo
Trigeo, bifolco àttico
Una Figlia di Trigeo
Ermete
Ammazza, dio della guerra
Fracassa, servo di Ammazza
Coro di Bifolchi attici
Pace, un fantoccio
Pomona, un fantoccio
Galloria, un fantoccio
Un Pritano
Ierocle, spacciaoracoli
Un Mercante di falci
Un Mercante di secchie
Tre Mercanti d'armi
Alcuni Ragazzi


PROLOGO
In fondo all'orchestra, due case, quella di Giove a sinistra, quella di
Trigeo a destra. In mezzo l'entrata d'una caverna, mascherata da grandi
macigni. Un servo, davanti alla casa di Trigeo, intride dentro un tino
del letame, da cui distoglie il viso con disgusto. Dalla casa esce quasi
súbito un altro servo.


SERVO A:
Dà, dà una pizza per lo scarafaggio,
sbrígati!
SERVO B:
Eccola, dagliela, gli prenda
un accidente a secco! E non gli càpiti
di trangugiare mai pizze piú ghiotte!
(Torna ad intridere)
SERVO A (Prende la pizza, entra, e torna quasi súbito):
Un'altra, qui, di merda di somaro!
SERVO B:
Siamo daccapo? E dov'è andata quella
che gli hai portata adesso adesso? Non
l'ha voluta?
SERVO A:
Macché! Se l'è ghermita,
ne ha fatto con le zampe una pallottola,
e giú, un boccone! E intridine dell'altre,
svelto! E compatte!
(Via di corsa)
SERVO B (Si volge al pubblico):
Datemi una mano,
in nome degli Dei, vuotabottini
se non volete ch'io muoia affogato!
SERVO A (Torna affannato):
Un'altra, un'altra d'un bardassa, dammene:
ché la vuole ben trita!
SERVO B:
Eccola qua!
(Al pubblico)
Almeno da un accusa, oh spettatori,
sarò prosciolto! Chi vorrebbe dire
che ingoio la farina, nell'intriderla?
SERVO A:
Ahimè, dammene un'altra, e un'altra ancora,
e intridine dell'altre!
SERVO B:
Affé d'Apollo,
io no: questa cloaca non la posso
piú sopportare!
SERVO A:
Gli trascino dentro
addirittura la cloaca?
SERVO B:
E sí!
A quel paese... e appresso vacci tu!
(Il servo A prende il tino, e lo trascina dentro:
il servo B si volge al pubblico)
Chi di voialtri mi sa dire dove
potrei comprare un naso senza buchi?
Che mestieraccio preparare il pranzo
per uno scarafaggio! Non c'è il peggio!
Un cane o un porco, se non altro, quando
la fai, mandano giú tutto alla buona.
Questo è spocchioso, e fa lo schizzinoso,
invece, e non si degna di mangiare,
se non l'intrido una giornata intera
in pagnottine, avanti di servirgliela:
neppur fosse una donna! Adesso guardo
se dura ancora, il pasto: socchiudiamo
l'uscio, che non mi veda!
(Guarda dentro la casa)
Dàlli! Ingozza
senza smettere mai, finché tu scoppii
senza che te n'avveda! Ah, maledetto,
come diluvia! A testa sotto, e zanne
protese: pare un lottatore! E intanto
fa con la testa e con le zampe certe
mosse in giro, cosí, come chi torce
canapi grossi pei barconi. - Che
bestia! Birba vorace e puzzolente!
Un castigo di Dio! Ma di chi Dio?
D'Afrodite, direi, no!
SERVO A (Tornando all'improvviso):
Delle Grazie
neppure!
SERVO B:
E di chi è?
SERVO A:
Di chi? Di Giove
scatenaventri è un simile prodigio!
SERVO B:
Ma già qualcuno degli spettatori,
qualche ragazzo saputello, dice:
«Che affare è mai codesto? Che significa
lo scarafaggio?» - E gli risponde un Jonio
seduto accanto a lui: «Qui, se non erro,
a Cleone, s'allude: ché l'amico
ora è nell'Orco, ad ingozzare merda!»
Ma deve ber, lo scarafaggio! Entriamo!
(Via)
SERVO A:
Intanto io l'argomento ai bimbi espongo,
agli ominucci, agli uomini, alle cime
d'uomini; e specie, a questi superuomini.
Il mio padrone è pazzo, d'una strana
pazzia, non della vostra, ma d'un'altra
nuova di zecca. Sta da mane a sera
a contemplare il cielo a bocca aperta...
cosí... E scaglia contumelie a Giove,
e dice: «Oh Giove, che ti salta in capo?
Giú quella scopa! Non spazzare l'Ellade!»
TRIGEO (Dal di dentro):
Ahimè, Ahimè!
SERVO A:
Zitti! M'è parso udir come una voce!
TRIGEO (Come sopra):
Giove, che ne farai del nostro popolo?
Tu fotti le città senz'avvedertene!
SERVO A:
Questo, questo è il malanno che v'ho detto!
N'ha dato un saggio, della sua pazzia.
State a sentire poi come diceva,
quando gli prese il male. Borbottava
fra sé e sé: «Come arrivare dritto
dritto da Giove?» E fabbricate certe
scalettine sottili, s'ingegnava
d'arrampicarsi al cielo, come un ragno:
e infine cadde, e si spezzò la testa.
Dopo poi, se n'andò, vattelapesca
dove; e ieri tornò, recando seco
un gigantesco scarafaggio etnèo,
e mi die' l'incombenza di strigliarlo.
E lo drusciava, a guisa d'un puledro,
e «Oh Pegaso, - dicea - nobile aligero,
traggimi a vol, diritto insino a Giove!»
Ma che farà? Facciamo capolino.
(Si china a guardare dalla fessura dell'uscio, e súbito
balza indietro esterrefatto)
Povero me! Qui, qui, vicini, aiuto!
Il mio padrone va per l'aria! Vola
a cavalcioni su lo scarafaggio!
(Dal tetto della casa spunta e si leva in aria un mostruoso
scarafaggio, sul cui dorso sta a cavalcioni Trigeo)
TRIGEO:
Mio buon somiero, non tanta furia!
Bel bello, frénati, meno baldanza!
Non fare súbito troppo a fidanza
con le tue forze! Prima sgranchisciti,
e a vol dei membri sciogli il vigore!
(Lo scarafaggio dà una risposta fuori di tòno)
E non m'effondere sí tristo odore!
Ché se poi nutri tale intenzione,
resta, ti prego, nella magione!
SERVO A:
Come sbalestri, padrone bello!
TRIGEO:
Zitto, sta zitto!
SERVO A:
Pe 'l ciel dove ànfani, senza profitto?
TRIGEO:
A vol cercando vo, con novello
ardir, lo scampo del popol tutto!
SERVO A:
Che vol? Farnetichi senza costrutto!
TRIGEO:
Le vane chiacchiere tralascia omai:
fa' buon augurio con gridi lieti,
e avvisa il popolo che restin cheti,
e pongan d'embrici sui letamai,
e sui chiassuoli nuovi ripari,
e il foro tappino dei tafanàri!
SERVO A:
Zitto non sto, se non mi dici dove
disegni di volare!
TRIGEO:
E dove? Su
da Giove, in cielo!
SERVO A:
E che progetto avresti?
TRIGEO:
Di domandargli come vuol conciare
tutti gli Ellèni!
SERVO A:
E se lui non si degna?
TRIGEO:
L'accuserò di vendere la patria
ai Medi!
SERVO A:
Sin ch'io vivo, giurabbacco,
non sarà!
TRIGEO:
Non c'è mica altra maniera!
SERVO A (Si volge verso l'interno della casa):
Ehi, ehi, ehi, ehi, ragazze! Vostro padre
se ne va di soppiatto verso il cielo,
e vi lascia qui sole. Supplicatelo,
poverette, movetelo a pietà!
UNA FIGLIUOLA Dl TRIGEO (Dal di dentro, cantando):
Oh babbo, babbo, dunque veridica
era la voce che qui s'intese?
Davver tra i venti vai con gli aligeri?
Mi lasci, e parti per quel paese?
C'è qualche cosa di vero? Rispondimi, se mi vuoi bene!
TRIGEO:
Non lo vedete, forse? E questa è la causa: che pene.
quando chiedete pane, figliuole, e mi dite babbino,
e per comprarlo, in casa il becco non c'è d'un quattrino!
Ma se la spunto, e torno quaggiú, vi darò pan buffetto,
e, per il companatico, nespole. Ve lo prometto!
FIGLIA:
E con che mezzo di trasporto andrai?
Una barca, costí, non ti ci porta!
TRIGEO:
Un puledro con l'ali. Altro che barca!
FIGLIA:
Babbino! E questa idea di porre il morso
ad uno scarafaggio, e di sospingerlo
verso i Celesti, come t'è venuta?
TRIGEO:
Oh non racconta, Esopo, nelle favole,
che fra gli alati ai Numi ei sol pervenne!
FIGLIA:
Babbo, babbo, son fole inverosimili!
Quella fetida bestia andar fra i Numi!
TRIGEO:
Una volta c'è stata, in odio all'aquila,
a tempi antichi; e appallottando l'uova
in grembo a Giove, seppe vendicarsi!
FIGLIA:
Inforcare di Pegaso le penne
non era meglio, allora, e comparire
con piú tragico aspetto in mezzo ai Numi?
TRIGEO:
Mi ci voleva il doppio di provviste
da bocca, grulla! Adesso, quel che mangio
servirà poi di biada a questa bestia!
FIGLIA:
E se del mar nei gorghi umidi piombi,
come ti salverai, con quelle penne?
TRIGEO (Con gesto sconcio):
Ho in pugno un buon timone. Ne saprò
trarre partito. Ed uno scarafaggio
di Nasso, può servir come battello!
FIGLIA:
E qual t'accoglierà porto, se naufraghi?
TRIGEO:
C'è Portoscarafaggio, nel Pireo!
FIGLIA:
Bada che, il piè mancandoti, non sdruccioli,
e, fatto zoppo, offrir non debba a Euripide
un argomento, e n'esca una tragedia!
TRIGEO:
Ci starò bene attento! A rivederci!
(Si volge agli spettatori)
E voi, per cui mi trovo in queste angustie,
per tre dí non petate e non cacate:
ché se questo di su sente l'odore,
scende a scialare, e il collo io mi scavezzo!
(Ricomincia l'ascensione dello scarafaggio, durante
la quale Trigeo canta)
Brioso, o Pègaso, libra il tuo corso,
ed agitando l'orecchio ardito,
dei barbozzali sull'aureo morso
fa' che risuoni chiaro il tinnito.
Che, che fai? Come? Verso un chiassuolo
chini le froge? Lungi dal suolo
spíccati, stendi rapide l'ale,
diritto all'aula di Zeus ti lancia,
e dalla farda lungi le nari
tieni, e da ogni altro cibo mortale!
(Guarda verso il Pireo)
Ehi, coso! Amico! Tu che la pancia
sgravi nei pressi dei lupanari,
giú nel Pirëo! Tu mi rovini,
tu mi rovini! Via, seppelliscila
presto, gran zolle sopra v'accumula,
piantaci in vetta dei sermollini,
di mirra versaci soavi unguenti!
Ché s'io malconcio di qui precipito,
per la mia morte, cinque talenti
trarre ai Chiòti dal loro erario
farà codesto tuo tafanario!
(Lo scarafaggio comincia a ridiscendere verso le casa di Giove)
Ahi, che paura! E non lo dico già
per celia! Oh macchinista, bada qui!
Già mi brontola sotto l'ombelico
un certo soffio! Attento! Ché se no,
scodello qui la biada a questa bestia!
(Lo scarafaggio si ferma avanti alla porta di Giove)
Ma sono, pare, accosto ai Numi. Vedi
il palazzo di Giove!
(Scende)
Chi sarà
il portiere di Giove?
(Picchia)
Aprite o no?
ERMETE:
Che puzzo d'uomo sento?
(Fa capolino e balza indietro sbigottito)
Ercole mio,
che mostro è questo?
TRIGEO:
Un ipposcarafaggio!
ERMETE (Con esplosione minacciosa):
Ah, temerario, ah, schifo, ah, svergognato,
ah, infame, e tutto infamia ed infamissimo,
come sei qui, tra gl'infami infamissimo?
Come ti chiami? Stai zitto?
TRIGEO (Calmo):
Infamissimo!
ERMETE:
La razza tua qual è? Parla!
TRIGEO:
Infamissimo!
ERMETE:
Il padre tuo chi è?
TRIGEO:
Chi è? Infamissimo!
ERMETE:
No, giuraddio, la pelle non la salvi,
se non mi dici il nome tuo qual è!
TRIGEO:
Sono Trigeo d'Atmone, vignaiuolo,
uomo dabbene, punto sicofante,
punto vago di liti.
ERMETE:
E perche vieni?
TRIGEO (Offrendogli una bistecca):
Ti porto questa ciccia!
ERMETE:
Oh, pover'òmo!
Come hai fatto a venire?
TRIGEO:
Ah ghiotto! Vedi
che adesso non ti sembro piú infamissimo?
Su' via, chiamami Giove!
ERMETE (Sghignazza):
Ah ah, ah ah!
Ti ce ne vuole, ancora, prima d'essere
presso ai Numi! Da ieri hanno sloggiato.
Lontano, stanno!
TRIGEO:
E in che parte del mondo?
ERMETE:
Senti, del mondo!
TRIGEO:
E dove mai?
ERMETE:
Lontano
lontano! Proprio nel piú fondo buco
del cielo!
TRIGEO:
E come va che t'han lasciato
qui solo solo?
ERMETE:
Custodisco il poco
mobilio che ci resta: pentolucce,
tavolucce, brocchette...
TRIGEO:
Ma perché
hanno sloggiato i Numi?
ERMETE:
Sono in collera
con gli Ellèni! E qui, poi, dov'erano essi,
han posto Ammazza, il Nume della guerra,
affidandovi a lui, che vi conciasse
a suo piacere. Ed essi sono andati
quanto potean piú su, per non vedervi
guerreggiare, né udir le vostre suppliche.
TRIGEO:
Dimmi: e perché ci trattano cosi?
ERMETE:
Perché mentre piú volte essi hanno messo
pace, sempre la guerra avete scelta!
Appena appena avevano il disopra,
i Laconi, dicevan: «Pei Dïóscuri,
l'Atticuccio la sconti!» - La fortuna
rideva invece agli Attici, e i Laconi
veniano a chieder pace? Ecco voialtri:
«Qui c'è l'imbroglio sotto! - Per Atena! -
Per Giove! - Qui c'è da fidarsi poco! -
Teniamo Pilo, ed essi torneranno!».
TRIGEO:
Erano proprio le parole nostre!
ERMETE:
E per questo, non so se rivedrete
Pace, piú mai.
TRIGEO:
No? Dov'è andata?
ERMETE:
Ammazza
l'ha gittata in un antro fondo fondo.
TRIGEO:
Quale?
ERMETE:
Quello laggiú. Guarda che po'
po' di macigni ci ha ammucchiati sopra,
perché mai piú l'aveste a ripigliare!
TRIGEO:
Dimmi, e di noi che ne vuol fare?
ERMETE:
So
questo solo. Iersera è ritornato
con un mortaio gigantesco.
TRIGEO:
E che
se ne farà, di codesto mortaio?
ERMETE:
Vuol farci un trito di città. - Ma vado,
io: ché secondo me sta per uscire:
sento rumore dentro.
TRIGEO:
Ah, poveretto
me! Dove scappo, adesso? Anch'io l'ho inteso
il fragor d'un mortaio da battaglia!
(Perduto, corre qua e là per la scena. Intanto, accompagnato
da terribile fragore, esce Ammazza)
AMMAZZA (È uno spauracchio orribile, e porta un gigantesco
mortaio. Urla):
Ahimè, mortali, mortali, mortali,
tutti calamità, quanto fra poco
dovrà dolervi l'una e l'altra guancia!
TRIGEO:
Apollo mio, che razza di mortaio!
Quella ghigna d'Ammazza, che spavento!
Eccolo, quello che ci fa scappare,
ci sbigottisce, ce la fa far sotto!
AMMAZZA (Gitta porri nel mortaio):
Porría, tre volte e cinque, e una dozzina
di volte sciagurata, oggi sei fritta!
TRIGEO (Agli spettatori):
Questa, amici, non è roba per noi:
questo malanno tocca agli Spartani!
AMMAZZA (Gitta agli):
Ahi, Megara, Megara, come súbito
tutta sarai tritata in salsa d'aglio!
TRIGEO:
Cospetto! Cospettone! Quante amare
lagrime su Megara ha rovesciate!
AMMAZZA (Gitta cacio):
Anche tu, come sei morta, Sicilia!
TRIGEO:
Tanta città finir sulla grattugia!
AMMAZZA:
Ci verso pure questo miele d'Attica!
TRIGEO:
Coso, pigliane un'altra qualità,
di miele. È da quattr'oboli, codesto.
Lascialo stare, l'attico!
AMMAZZA (Si volge verso l'interno):
Fracassa!
Fracassa!
FRACASSA (Sbuca all'improvviso: è anch'esso uno spauracchio guerresco):
M'hai chiamato?
AMMAZZA:
Un accidente!
Stai con le mani in mano, è vero? Béccati
questo cazzotto!
TRIGEO:
È col sale e col pepe!
FRACASSA (Piange):
Povero me, povero me, padrone!
TRIGEO:
L'ha condito con l'aglio, quel cazzotto!
AMMAZZA:
Piglia il pestello, corri!
FRACASSA:
Anima mia,
non c'è! Se ieri, siamo entrati in casa!
AMMAZZA:
E non corri a pigliarne uno in Atene?
FRACASSA:
Se corro? Volo! - E già, se no son busse!
(Via)
TRIGEO (Al pubblico):
Via, che facciamo, povera gentuccia?
In che male acque siamo, lo vedete!
Se quello torna col pestello, questo
stritola a suo bell'agio le città!
Schianti, per Bacco, e non ritorni piú!
(Torna Fracassa)
FRACASSA (E rimane impacciato):
Senti...
AMMAZZA:
Che c'è? Non l'hai portato?
FRACASSA:
Ecco...
Il pestello d'Atene è andato a male...
TRIGEO:
Oh veneranda Atena! È andato a male?
Ha fatto bene! Ha colto il punto giusto!
AMMAZZA:
E svelto, allora, va', pigliane un altro
a Sparta!
FRACASSA (Corre via):
Ecco, padrone!
AMMAZZA:
E torna súbito!
TRIGEO (Al pubblico):
Amici che si fa? Questo è il cimento!
Se qualcuno di voi fu inizïato
in Samotracia, adesso ha da pregare
che si pigli una storta, il galoppino!
FRACASSA (Torna):
Ahimè tapino, ahimè, tapino me!
AMMAZZA:
Che c'è? Non l'hai portato neppur ora?
FRACASSA:
Se gli Spartani hanno perduto il loro
pestello, anch'essi!
AMMAZZA:
Ah, manigoldo! E come?
FRACASSA:
L'hanno prestato, in Tracia, ad altra gente
che ne aveva bisogno, e l'han perduto!
TRIGEO:
Gemelli miei, che bell'idea fu quella!
(Agli uditori)
Forse finirà bene! Animo, amici!
AMMAZZA:
Riporta in casa questi attrezzi. Io
rientro, e me lo fabbrico, un pestello!
TRIGEO (Gongolante):
Ora poi sí, possiam cantare, come
Dati, che a mezzodí se lo menava:
che piacere, che gusto, che sollazzo!
Che bella cosa, adesso, amici Ellèni,
finirla con le brighe e con le zuffe,
e liberar l'amor nostro, la Pace,
prima ch'altri pestelli ce lo vengano
ad impedire! - Bifolchi, braccianti,
mercanti, fabbri, meteci, stranieri,
ed isolani, qui, popoli tutti,
con picconi e leve e funi qui correte: qui, ché adesso
del buon Dio la libagione guadagnare è a noi concesso!

PARODOS
(I coreuti, vestiti da bifolchi, recando attrezzi campestri,
entrano impetuosamente, dodici da ciascuna párodos, e, tumultuando
e sgambettando, si affollano intorno a Trigeo, dinanzi l'imboccatura
della caverna)

PRIMO SEMICORO:
Qui ciascun, per sua salute, di buon grado affretti il passo!
Al soccorso da ogni parte accorriamo, Ellèni, qui,
un addio dato alle schiere, ai mantelli da gradasso;
perché, infine, in odio a Lamaco, ha brillato questo dí.
SECONDO SEMICORO:
Tu fa' il piano, tu ammaestrane, se qualcosa oprar si deve;
né temere, in tanto giorno, di vederci ripentiti,
pria d'avere a luce tratta, con gli ordigni e con le leve,
la piú grande fra le Dive, la piú amica delle viti!
TRIGEO:
Zitti, zitti! O inuzzoliti per l'annuncio di tal bazza,
di lí dentro, con questi urli, stuzzicar volete Ammazza?
CORO:
Gli è che udir simile bando di piacer mi rïempí:
non è quel di presentarsi con provviste per tre dí!
TRIGEO:
Dunque, attenti che quel Cerbero ch'è nell'Orco, borbottando
ed urlando, ora fra i piedi non si ficchi, come quando
era qui, per impedirci di riprendere la Pace!
CORO:
Questa volta non c'è alcuno di strapparmela capace,
se davvero posso averla fra le mani. Evviva, evviva!
(Cominciano a ballare)
TRIGEO:
O finitela d'urlare, o siam fritti! Adesso arriva,
e a pedate manda all'aria tutti quanti i nostri affari!
CORO:
E rimescoli, e calpesti, e scombussoli magari!
Oggi tanto, al mio tripudio porre freno io non saprei!
TRIGEO:
Che rob'è? Cosa vi piglia? Non facciamo, per gli Dei,
che per quattro piroette vada a monte un affar d'oro!
CORO:
Ma se voglia non ne ho punta, di ballar! Ballano loro,
le mie gambe, mentre fermo me ne sto, per l'esultanza!
TRIGEO:
Or non piú, ti prego, smetti! Smetti, via, codesta danza!
CORO:
Ecco, vedi, ho bell'e smesso!
(Seguitano a ballare)
TRIGEO:
Già, lo dici, e poi non smetti!
CORO:
Questo scoscio solo solo, dopo basta, mi permetti!
TRIGEO:
Questo solo vi concedo: poi finiamola, col ballo!
CORO (Come sopra):
Se con ciò t'avvantaggiamo, smetteremo senza fallo!
(Cresce la foga del ballo)
TRIGEO:
Vedi un po', mica smettete!
CORO:
Lascia solo, affé di Giove,
che scosciam la gamba destra: poi, nessuno piú si muove!
TRIGEO:
Purché dopo non m'abbiate piú a seccar, ve lo permetto.
CORO:
A scosciare la sinistra pure, adesso io son costretto!
Me la godo, me la spasso, me la rido, avvento peti!
Assai piú che tornar giovani, gittar l'armi ci fa lieti!
TRIGEO:
Non vi date ancora al giubilo! Non si può cantar vittoria!
Quando poi l'avremo in pugno, allor sí, fate galloria,
fra schiamazzi e fra risate.
Potrà ognuno allora fottere,
fare in casa una dormita,
navigare o stare a riva,
e tra feste, serenate,
pranzi, fare il sibarita,
e strillare: «Evviva, evviva!»
CORO: Strofe
Oh, se pur dato mi fosse d'un tal dí vedere il raggio!
Ché di brighe sono stracco,
e del sacco
che Formíone ha per retaggio.
Né sarà che iroso e burbero nei giudizi, e cosí duro
qual m'hai visto ai tempi scorsi, tu mi trovi pe 'l futuro.
Tutto mite mi vedrai,
e tornato a gioventú,
ogni briga porre in bando:
ché passammo troppi guai,
ci sciupammo troppo, andando
con lo scudo e con la picca, pel Liceo, di su, di giú.
Ma su' via, dinne che cosa
potrà farci ben avere:
ché una sorte avventurosa
ti fe' nostro condottiere!
(Posto fine alle danze, i coreuti si aggruppano simmetricamente
ai due lati della caverna)
TRIGEO:
Via, questi sassi dove li buttiamo?
ERMETE (Sbuca all'improvviso):
Temerario birbone, che vuoi fare?
TRIGEO:
Nulla di male! Come Cilicone!
ERMETE:
Disgraziato! Sei morto!
TRIGEO:
Eh, sí, se esco!
A sorte tirerai, da bravo Ermète!
ERMETE:
Tu sei morto e stramorto!
TRIGEO:
Per che giorno?
ERMETE:
Per súbito!
TRIGEO:
Se ancora pel trapasso
non ho comprato cacio né farina!
ERMETE:
Eppure, sei fottuto!
TRIGEO:
E in che maniera
mi toccò questa bazza senz'accorgermene?
ERMETE:
Ma non lo sai che Giove ha decretata
la morte per chiunque fosse còlto
a scavar Pace?
TRIGEO:
Dunque, ad ogni modo
mi s'ha da far la festa?
ERMETE:
Ad ogni modo!
TRIGEO:
Prestami, per comprare un porcellino,
tre dramme, allora. Prima di morire
mi devo inizïare!
ERMETE (Volto al cielo, urla):
Oh Giove, oh fulmini...
TRIGEO:
Padrone mio, te ne scongiuro, in nome
di Dio, non ci scoprire!
ERMETE:
E mica posso
star zitto!
TRIGEO:
Stacci, in nome della ciccia
che ti portavo tanto di buon cuore!
ERMETE:
Ma Giove, anima mia, mi polverizza,
se non gli strillo quello che succede!
TRIGEO:
Non urlare Ermetuccio, ti scongiuro!
(Si volge ai coreuti)
Buona gente, e voi che fate? State lí come piòli?
Se la bocca vi tappate, chi lo tien, che non si sgoli?
CORO: Antistrofe
Non sia mai, signore Ermète, non sia mai, deh, non sia mai!
Il ricordo che al palato
ti fu grato
un porcel ch'io t'immolai,
non sia l'ultima ragione che a giovarne ora ti spinga.
TRIGEO:
Re, Signore, non ascolti di costoro la lusinga?
CORO:
Odi, Sire, la mia prece:
lungo sdegno non ti pigli,
sí che m'abbia a uscir di mano
questa Dea! Ne aiuta invece,
oh il piú splendido ed umano
fra gli Dei, se i ciuffi aborri di Pisandro e gl'irti cigli!
E solenni processioni
sacre vittime, o Signore,
sempre, in tutte le occasioni
t'offriremo, a farti onore!
TRIGEO:
Commuoviti, ti prego, alla lor voce,
ché ti son piú devoti ora che prima!
ERMETE:
Perché son ladri piú che per l'innanzi!
TRIGEO:
E ti svelo un terribile complotto
che si macchina contro i Numi tutti.
ERMETE:
Parla! Chi sa che tu non mi convinca!
TRIGEO:
Dunque, la Luna e il Sole, quel briccone,
stan da un pezzo tramando a vostro danno,
ed han tradito ai barbari la patria.
ERMETE:
E perché fanno ciò?
TRIGEO:
Perché noialtri
offriamo i sacrifizi a voi Celesti,
ed i barbari a loro. E non a torto
vorrebber che crepaste quanti siete,
e le vittime vostre averle loro!
ERMETE:
Ecco dunque perché da un pezzo andavano
rifilando sui giorni, e rosicchiando
un po' del loro disco! Era un bel tiro!
TRIGEO:
Certo! E per questo, Ermète caro, aiutaci
di buona voglia in quest'impresa; e a te
dedicheremo le Panatenèe
e ogni altra festa sacra agli altri Numi:
le Dipolèe, le Adonie, ed i Misteri:
tutto ad Ermète. E libere dai guai,
l'altre città faranno sacrifizi
a Ermète scacciamali. E godrai tanti
altri beni. Per primo, ti regalo,
per far le libagioni, questo calice.
ERMETE (Ai coreuti):
Quanto mi tocca, ahimè... la roba d'oro!
TRIGEO:
È affar vostro, brava gente, oramai! Date di piglio
alle zappe, ed alla svelta - ogni pietra sia divelta!
CORO:
A tant'opera siam pronti. Guida or tu col tuo consiglio,
qui restando, le nostre opere, oh il piú saggio fra gli Iddii,
e vedrai che ad obbedirti noi sarem poco restii!
TRIGEO:
Porgi la coppa, tu, svelto! Una prece,
rivolgiamo ai Celesti, e mano all'opera.
ERMETE:
Si liba, si liba!
Silenzio, silenzio!
CORO:
Libiamo ed imploriam che questo giorno
segni l'avvento per gli Ellèni tutti
di molti beni. E chi darà di piglio
di buona voglia ai canapi, quest'uomo
mai piú non abbia da imbracciar lo scudo!
TRIGEO:
Ma trascorra la vita in santa pace,
presso la bella, ad attizzar la brace!
CORO:
Chi preferisce, invece, aver la guerra...
TRIGEO:
Bacco, fa' tu che debba ognora svellersi
dalle gomita cuspidi di lance!
CORO:
E se alcuno per fregola di fare
il capitano, si dispiace, o Diva,
che tu salga alla luce, negli scontri...
TRIGEO:
possa fare la fine di Cleònimo!
CORO:
Se un mercante di scudi o di zagaglie,
per lucrare di piú, brama battaglie...
TRIGEO:
caschi in mano dei ladri, e campi ad orzo!
CORO:
Chi non tira perché vuole il comando,
chi, servo, s'apparecchia a disertare...
TRIGEO:
sia legato alla ruota, e giú frustate!
E buone cose a noi! Viva! Peana!
CORO:
Di' solo evviva! Quel peana levalo!
TRIGEO:
E allora evviva evviva, evviva solo!
Ad Ermète, alle Grazie, alle Stagioni,
ad Afrodite, al Desiderio...
CORO:
E ad Ares
no!
TRIGEO:
No!
CORO:
Neppure ad Eniàlio!
TRIGEO:
No!
CORO (I due Semicori dàn di piglio alle funi e incominciano
a tirare):
Dunque, sotto, alle funi! E ognuno tiri!
CORO: Strofe
Hop, via!
ERMETE:
Via, coraggio!
CORO:
Hop, via!
ERMETE:
Via, coraggio!
CORO:
Hop, via! Hop, via!
TRIGEO:
Ma se la tratta non la dànno
tutti a un modo! Tirate, avanti!
I Beoti fan gli sprezzanti!
Vi si pigli qualche malanno!
ERMETE:
Via, dunque!
CORO:
Via, hop!
CORIFEO (Ad Ermète e Trigeo):
Ma voi due, non tirate mica!
TRIGEO:
Ah, non tiro, non m'arrapino?
È una celia la mia fatica?
CORIFEO:
Se l'affare non fa cammino!
TRIGEO (Inciampa in un coreuta caduto in terra, e finge di
scambiarlo con Lamaco):
Che ti metti fra i piedi? È un bel sopruso,
Lamaco! I tuoi babàu mica ci servono!
ERMETE:
Neppur gli Argivi, da un bel pezzo, tirano!
Ma stanno a scorbacchiar chi s'arrapina,
e scroccano la paga a due padroni!
TRIGEO:
Ma i Laconi, cuor mio, tirano a buono!
CORO:
Vedi, però? Ci stanno di buon grado
quelli soltanto ch'ànno a far coi ceppi:
chi lavora metallo, li frastorna!
ERMETE:
I Megaresi neppur loro sfondano!
Ad ogni modo, tirano, perdio,
con l'acquolina in bocca, digrignando
come botoli: e muoiono di fame!
TRIGEO:
Non ne facciamo nulla, amia miei!
Diam di piglio daccapo, tutti insieme!
CORO: Antistrofe
Hop, via!
ERMETE:
Via, coraggio!
CORO:
Hop, via!
ERMETE:
Via, per Giove!
CORO:
Un tantinello ora s'è mossa!
TRIGEO:
Guardate un po' se son cattivi!
Uno tira, uno molla! Argivi,
volete farvi fiaccar l'ossa?
ERMETE:
Via, adesso!
CORO:
Via, hop!
CORIFEO:
Quanti malevoli ci sono!
TRIGEO (Ad alcuni coreuti che spingono con zelo):
Voi sí che avete la passione
della Pace! Tirate a bono!
CORIFEO:
Ma non vedi? C'è chi s'oppone!
TRIGEO:
Oh Megaresi, andate a quel paese!
La Dea v'ha in uggia: si ricorda bene
che voi primi l'avete unta con aglio!
E voialtri finitela, vi dico,
Atenïesi, di tirar costí!
Non sapete far altro che processi!
Se voi volete liberare Pace,
cedete un poco verso la marina!
CORIFEO:
Su' via, tiriamo noi da soli - bravi colleghi campagnuoli!
ERMETE:
Brave persone, il vostro affare - pare che meglio s'incammini!
CORIFEO:
Ora va, dice, la faccenda! - Su', coraggio ciascun riprenda!
ERMETE:
Se nessuno vuole tirare! - Non ci stanno che i contadini!
CORO (Dànno una stratta violentissima):
Via dunque, al tempo istesso!
ERMETE:
Ora siamo a buon punto!
CORIFEO:
Non la lasciamo adesso!
Cresciam di gagliardia!
ERMETE:
Ora poi, ci sei giunto!
CORO:
Hop, insieme, hohop, hop via!
oh via via, via via, via via!
oh via via, via via, via via!
(Cadono gli ultimi ostacoli, e i tre simulacri, grandi al vero,
di Pace, Pomona, e Galloria, su una piattaforma, trascinata da
funi, sono tratti dal fondo della caverna sulla scena)
TRIGEO:
Dispensiera dei grappoli divina,
con qual parola salutarti? Dove
pigliar diecimila anfore, per darti
il benvenuto? La cantina è vuota!
Oh Pomona, salute! E a te, Galloria!
Che dolce viso! Che soave olezzo
di riposo e di mirra in cuor m'infondi!
ERMETE:
Sembra quello del sacco militare?
TRIGEO:
D'un uggioso mortale io l'uggiosissimo...
cesto aborrisco, che sí acuto lezzo
spira di rutti di cipolle! - Questa
di pomi olezza, d'ospiti, di feste
bacchiche, di commedie, di canzoni
di Sofocle, di flauti, di tordi,
di versetti d'Euripide...
ERMETE:
Se poi
la calunni cosí, finirai male!
Costei non ama i vati mozzorecchi!
TRIGEO (Seguitando):
d'ellera, di frantoi, di pecorelle
che belano, di seni di ragazze
che corrono pei campi, di fantesche
briache, di boccali rovesciati,
e di tante altre dolci cose.
ERMETE:
Oh vedi!
Fatta già comunella, le città
cicalano fra loro, e se la ridono
allegramente, piene come sono
di lividure, e con le pèsche agli occhi!
TRIGEO:
Poi guarda in viso questi spettatori,
e saprai che mestiere ognuno esercita!
ERMETE:
Poveri noi! Lo vedi quell'elmaio
che si strappa i capelli?
TRIGEO:
Il fabbricante
di zappe, peta in barba allo spadaio!
ERMETE:
Il mercante di falci, non lo vedi,
gongola, e piglia in giro quel lanciaio! -
Su', di' ai bifolchi ch'ora se ne vadano!
TRIGEO (Con tono da banditore):
Popoli, udite! I contadini piglino
gli attrezzi, e al campo facciano ritorno
tutti, senza giavellotto, senza lancia, senza spada:
ché già tutta dell'antica pace piena è la contrada.
Il Peana, or via, s'intòni, quindi all'opere si vada!
PRIMO SEMICORO:
Giorno caro ai galantuomini e ai bifolchi, sei venuto!
Quanto godo nel vederti! Alle vigne vo' far motto,
e a certi alberi di fico che piantai da giovanotto,
dopo tanto e tanto tempo, vo' rivolgere un saluto!
SECONDO SEMICORO:
Buona gente, pria la Diva si ringrazi, che la noia
delle Górgoni dattorno ci ha levato e dei cimieri;
quindi a casa si sgambetti, si rientri nei poderi,
dopo aver fatta provvista di vivande in salamoia.
TRIGEO:
Bella vista! Va compatto, quel drappel, come un biscotto,
e animato, per Posídone, come un pranzo senza scotto!
ERMETE:
Ve', che avevano brunite già le vanghe! Sprizzan lampi
dai rastrelli, contro il sole! Ne godranno i loro campi!
TRIGEO:
Certo! E ai campi far ritorno, dopo tanto, bramo anch'io,
e scalzare, col tridente, con la zappa, il fondo mio!
(Al Coro)
Ripensando il dolce vivere
che la Pace a tempi antichi
vi largiva, o galantuomini,
e le frutta secche, e i fichi,
la mortella e il dolce mosto,
il pratello delle mammole
che fioriva al pozzo accosto,
e l'ulive onde abbiam gola;
alla Diva, di ciò memori,
su', volgete una parola!
CORO:
Salve, salve! Come lieti siamo noi, poi che tu vieni!
Mi struggea per te di brama, tutto ardevo dal desio
di tornar nel campo mio!
Sempre fosti, oh desïata, sempre tu, dei nostri beni
il maggior, di tutti quanti meniam vita campagnuola:
perché a noi giovi tu sola!
Una volta, sotto il regno tuo, godemmo senza spesa
molte care e dolci cose! Tu sei pane, sei difesa,
pei bifolchi! Sí che adesso, sorridendo di gran gusto,
t'accorràn vigne, ficuzzi novellini, ed ogni arbusto!
(Durante questo brano, i coreuti, con disciplinate evoluzioni,
sono andati ad aggrupparsi intorno all'altare di Diòniso)
CORO:
Ma dov'ella, mentre lungi da noi visse, fe' dimora
cosí a lungo, oh il piú benevolo fra gli Dei, spiegaci ora.
ERMETE:
Oh finissimi bifolchi, date ascolto ai detti miei,
se saper bramate come in rovina andò costei.
Fu di Fidia la disgrazia prima causa del suo male:
quindi Pèricle, per tema d'incontrar destino uguale,
paventando la natura vostra, e l'indoli ringhiose,
la città, pria di passare qualche guaio, a fuoco pose.
Con la piccola favilla del decreto megarese,
suscitò tale un incendio, che il gran fumo, nel paese
ai Laconi e a quelli d'Attica fe' versar lagrime amare.
Arso allora crepitava suo malgrado ogni filare,
ed il tin, percosso, al tino con furor calci traéa:
né alcun v'era a metter bene; e cosí sparve la Dea.
TRIGEO:
Da nessuno, per Apollo, questa poi l'ho intesa dire,
che costei con Fidia avesse qualche cosa da spartire!
CORIFEO:
Neppur io! Lo sento adesso! Ma per esser sua parente,
cosí vaga è nell'aspetto! Quanto siam poco al corrente!
ERMETE:
Le città vostre soggette, quando sepper che furenti
eravate gli uni e gli altri, che vi mostravate i denti,
per salvarsi dai tributi, mille insidie macchinâro,
e corruppero i piú grossi dei Laconi col denaro.
Questi poi, venali come sono, e tutti ipocrisia,
alla Guerra s'appigliarono, e la Pace scacciâr via.
E i lor lucri, poscia, addussero i bifolchi a mali estremi;
perché allor, per rappresaglia, di qui mosser le triremi,
a beccare i fichi a gente senza colpa né peccato!
TRIGEO:
Bene, affé! Che di brogiotti m'hanno un albero stroncato,
ch'io piantavo ed allevavo!
CORIFEO:
Proprio bene! Ché a me pure
con un ciottolo una madia fracassâr di tre misure.
ERMETE:
Come fu tutta la gente di campagna qui raccolta,
tramutò, senza avvedersene, i costumi d'una volta:
e neppur vinacce avendo, mentre i fichi le fean gola,
ascoltava a bocca aperta chi pigliasse la parola.
E vedutili agli estremi, senza pane, i demagoghi
spinser via la Dea, che spesso, per desio di questi luoghi,
apparia tra voi, con urli ch'eran colpi di forcone.
E se poi fra gli alleati c'era un uom grasso e riccone,
lo bacchiavan con la scusa che «Brasída ei sostenea».
E voi, poscia, ve lo sbranavate come una canéa;
poi che Atene, pel terrore, per la fame, volentieri
quanto innanzi le gittassero trangugiava. E i forestieri
nel veder donde piovevano quelle nespole, con l'oro
sigillâr la bocca a quelli che facean sí bel lavoro;
e li reser ricchi, mentre, senz'addarsene, il paese
fu deserto. D'un cuoiaio tali furono le imprese!
TRIGEO:
Basta, Ermète, Signor nostro, basta, basta, non dir piú,
e quell'uom, lascialo stare dov'ei trovasi, laggiú!
Perché adesso piú non è - roba nostra: è tuo: sicché
dàgli pur, se vuoi, la striglia,
di' che birbo ei fu durante
la sua vita, sicofante,
promotore di tumulti,
mestatore: questi insulti
ti rimangono in famiglia!
(Si rivolge a Pace)
Ma perché taci, oh veneranda? Dimmelo!
ERMETE:
Agli uditori non lo dice: è in collera
assai, con loro: ne ha passate troppe!
TRIGEO:
Qualche cosa a te solo, almeno, dica!
ERMETE (A Pace):
Animo, via! Di', come te la senti
con questi? Parla, oh la piú mangiascudi
fra le femmine. - Sento. - Ah!, ti lamenti
di questo? - Ho inteso. - Lo sapete, voi
perché vi tiene il broncio? - Dopo i fatti
di Pilo, dice, venne ad offerirvi,
ella in persona, un cesto pien di tregua:
ma fu tre volte in assemblea respinta!
TRIGEO:
In questo ci sbagliammo: ora perdonaci!
Cuoio avevamo nel cervello, allora!
ERMETE:
Senti un po' che m'ha chiesto adesso adesso:
Chi le fu piú contrario, costaggiú,
chi piú propenso, e adoperò che fine
avessero le zuffe?
TRIGEO:
Il piú propenso
di tutti, e di gran lunga, fu Cleònimo!
ERMETE:
Che conto fai dei meriti guerreschi
di Cleònimo?
TRIGEO:
È un cuore di leone!
Però non tiene all'arme di famiglia!
Se parte per il campo, appena può,
la gitta in terra, e te la pianta, l'arme!
ERMETE:
Senti che mi diceva ora di chiederti:
Chi signoreggia il sasso or della Pnice?
TRIGEO:
Di quei paraggi ora è signore Iperbolo...
(A Pace che ha girata la testa)
Ehi, tu, che fai? Perché giri la testa?
ERMETE:
L'ha girata per cruccio contro il popolo,
che un patrono sí tristo è andato a scegliersi!
TRIGEO:
Mai piú l'adopreremo, in checchessia!
Ma sul momento, non avendo guida,
e sendo ignudo, il popolo si fece
un riparo di quello!
ERMETE:
E che vantaggio -
dimanda - arreca questo alla città?
TRIGEO:
Sarem piú illuminati nei consigli.
ERMETE:
E perché?
TRIGEO:
Perché Iperbolo è lumaio!
Prima noi sbrigavamo le faccende
brancolando nel buio. Adesso, tutto
sarà deciso a lume di lucerna!
ERMETE (Sghignazza):
Ah, ah!
Che m'ha detto di chiederti!
TRIGEO:
Che?
ERMETE:
Tanti
tanti di quei vecchiumi, che lasciò
a quei tempi. E per primo vuol sapere
che cosa n'è di Sofocle.
TRIGEO:
Sta bene:
e glie n'accade una bizzarra!
ERMETE:
Quale?
TRIGEO:
S'è mutato da Sofocle in Simonide!
ERMETE:
In Simonide? E come?
TRIGEO:
Divenuto
rancido e vecchio, per il dio quattrino
si butterebbe in mar sopra un fuscello!
ERMETE:
Dimmi: e il bravo Cratino, ancora vive?
TRIGEO:
Quando i Laconi invasero la terra,
morí.
ERMETE:
Di che?
TRIGEO:
Di che? Di crepacuore!
Vide un orcio di vino andare in pezzi,
e non la superò! Ma non immagini
quanti altri guai toccarono ad Atene!
(Si rivolge a Pace)
Mai piú, mai piú, da te staccarci, oh Diva!
ERMETE:
Quand'è cosí, prendi Pomona in moglie:
eccotela; e vivendo alla campagna
con lei, mettete al mondo... bravi grappoli!
TRIGEO (A Pomona):
Vieni qui, che ti baci, anima mia!
(Esita)
Che dici, Ermète? Mi farà del male,
se, dopo tanto, ruzzo con Pomona?
ERMETE:
No, se ci trinchi sopra un beverone
di pimpinella! Oh via! Prendi Galloria,
e recala in Consiglio, ov'era un tempo.
TRIGEO:
Consiglio fortunato! Avrai Galloria!
Quanto brodetto da sorbire, avrai,
per tre dí, quanta carne e trippa lessa! -
Tanti tanti saluti, Ermète caro!
ERMETE:
Altrettanti, brav'uomo! Buon viaggio.
E non dimenticare!
TRIGEO:
Oh scarafaggio,
a casa, a casa! Ripigliamo il volo!
ERMETE:
Non c'è piú, poveretto!
TRIGEO:
E dov'è andato?
ERMETE:
Sotto il cocchio di Giove: e porta i fulmini!
TRIGEO:
Povera bestia! E lí che mangerà?
ERMETE:
Di Ganimede liberà l'ambrosia.
TRIGEO:
Già: ma io come scendo?
ERMETE:
A meraviglia!
Niente paura! Fatti qui, vicino
a questa Dea.
TRIGEO (A Pomona e Galloria):
Ragazze, qui, seguitemi
alla svelta! Ché molti già v'aspettano,
per la voglia che n'hanno... a pinco ritto!
(La piattaforma è trascinata via. Ermète esce. Rimangono nell'orchestra
i soli coreuti, che si volgono verso gli spettatori)

PRIMA PARABASI

CORO: Invito
Buon viaggio! - Ora noi consegnam questi attrezzi
ai servi, che li guardino. Ché a ronzar sono avvezzi
moltissimi ladruncoli, giusto presso le scene,
per far qualche colpetto. Custoditeli bene!
E intanto noi del nostro dir la via
sponiamo, e quale il nostro intento sia!
CORIFEO: Parabasi
Certo scacciar dovrebbero le guardie dalle scene
il poeta che nella parabasi venisse
a dir le proprie lodi. Ma se onorar conviene,
oh figliuola di Giove, il poeta che scrisse
le migliori commedie, che n'ebbe eccelsa stima,
il nostro vate merita un elogio coi fiocchi.
Ei sol, dice, i rivali desistere fe' prima
dal beffare i cenciosi, dal far guerra ai pidocchi:
egli bollò d'infamia, per primo, e mise in bando
quegli Ercoli famosi che intridevan pagnotte:
ei licenziò quei servi che uscian sempre fiottando,
perché il loro collega, scherzando sulle bòtte:
«Chi t'ha messa la pelle - dicesse - in simil concia?
Qualche sferza le costole t'invase con grande oste,
ti mise a sacco il dorso?» - Questa robaccia sconcia,
queste ignobili burle tenne da sé discoste,
e un'arte grande estrusse, l'innalzò come torre,
con parole e concetti grandi. Né piazzaiòle
furono le sue beffe, né su le scene porre
mai lo vedeste omuncoli da nulla o donnicciòle.
Ma come Ercole ardito, la prese coi piú grossi,
tra odor di cuoi movendo, tra fango di minacce.
Con lo stesso Asprezanne m'azzuffai prima. Rossi
gli dardeggiavan gli occhi da Cinna: cento facce
di piaggiator, che un giorno sconteranno l'infamia,
dintorno lingueggiavano al suo capo: il fetore
era di foca: i sudici testicoli di Lamia;
di camello il preterito: torrente apportatore
di sterminio, la voce. Né, veggendo tal mostro,
tremai. Per voi, per l'isole pugnando, a faccia a faccia
gli stetti contro. - Sembrami però sia dover vostro
l'essermi grati e memori. Né m'ebbi mai la taccia
di girar le palestre dietro qualche ragazzo,
quando avessi un successo. Ma pigliavo di botto
queste mie carabattole, e, dato assai sollazzo,
noia poca - era l'obbligo mio - facevo fagotto!

Stretta
Per questo è giusto che stian dalla mia
uomini e bimbi; e ogni zucca pelata
esorto pure che aiuto mi dia:
ché se la palma avrò io riportata,
dirà ciascuno ai simpòsi ed ai pranzi:
«Offrite al calvo la tal leccornia,
andiamo, al calvo mettetela innanzi:
nulla si nieghi dei vati al piú grande,
che tanta luce dal cerebro spande!

Strofe
Fuggi le guerre, o Musa, balla fra i tuoi diletti,
canta qui gli sponsali
dei Celesti, le pompe dei Beati, i banchetti
degli uomini: ben vaga sei tu di cose tali!

Epirrema
E se Grancino càpita,
e t'invita a danzar coi figli suoi,
non dargli retta, e complice
loro non farti: credi pure a noi:
paion sacchi, se ballano: sono caccole a brani,
quaglie cresciute in casa, cercamezzucci, nani.
Una tragedia, al babbo, pure, gli venne fatta;
ma verso sera, dice lui, la strozzò la gatta!

Antistrofe
Questi inni delle Càriti dalla cesarie bella
cantino i saggi vati,
quando primaverili note la rondinella
fra i rami intòni, e a Mòrsimo siano i Cori negati,

Antepirrema
e a Melanzio. L'asperrima
udii voce di quello,
quando nei Cori tragici
cantava, a lui concessi, e a suo fratello,
tutti e due Górgoni avide, scotolavecchie, arpíe,
pescatori di razze, sparecchiapescherie,
furbi, fetidi becchi! D'uno scaracchio, o Iddia,
cuoprili, e i riti celebra in nostra compagnia!

PARTE SECONDA

TRIGEO (Entra da una párodos, seguito dai simulacri di Pomona
e Galloria, strascicando le gambe e dando segni di grande
stanchezza. Si ferma dinanzi al proprio uscio):
Oh che affar serio giungere dai Numi!
Non me le sento piú, proprio, le gambe!
(Agli uditori)
Parevate piccini, di lassú!
Parevate, dal cielo, birbe assai:
di qui parete... birbe di tre cotte!
SERVO:
Oh padrone, sei qui?
TRIGEO:
L'ho inteso dire!
SERVO:
Che t'è successo?
TRIGEO:
La via troppo lunga
m'ha fiaccate le gambe!
SERVO:
Oh dimmi!
TRIGEO:
Che?
SERVO:
Hai visto a zonzo, in aria, nessun uomo
all'infuori di te?
TRIGEO:
No, tranne due
anime o tre di vati ditirambici.
SERVO:
E che cosa facevano?
TRIGEO:
Acchiappavano
preludi anuotoleteresolcanti.
SERVO:
È vero quel che dicono, che quando
si muore, tutti si diventa stelle?
TRIGEO:
E come!
SERVO:
E adesso, lí, che stella è
Ione da Chio, quello che un giorno, in terra,
scrisse l'Eòa?
TRIGEO:
Come lí giunse, súbito
lo chiamarono tutti stella eòa!
SERVO:
E che son quelle stelle vagabonde
che corrono bruciando?
TRIGEO:
Sono stelle
benestanti, che tornano da cena
con le lanterne accese. Adesso sbrígati:
(Gli consegna Pomona)
piglia alla svelta e porta dentro questa,
riscalda l'acqua, sciacqua la tinozza,
e per questa e per me sprimaccia il letto
matrimoniale; e fatti rivedere,
dopo! - Io, frattanto, consegno quest'altra
ai senatori!
SERVO:
Oh da dove l'hai prese,
queste?
RIGEO:
Da dove? Dal cielo!
SERVO:
Non do
piú di due soldi dei Numi, se mantengono
baldracche, tal'e quale a noi mortali!
TRIGEO:
No... Ma lí pure, sai quanti ci campano
sopra? Ma dunque, andiamo!
SERVO:
E per mangiare,
che devo darle?
TRIGEO:
Nulla! Non vorrà
né pane né focaccia: s'era avvezza
a leccar solo ambrosia, su fra i Numi!
SERVO (Il servo entra, conducendo con se Pomona. Trigeo passeggia
sulla scena pavoneggiandosi):
Le daremo anche qui roba da lecco!
CORO:
Il vecchio adesso, a quanto
si vede a colpo d'occhio,
se la passa d'incanto!
TRIGEO:
Quando poi mi vedrete - sposo tutto brillante, che direte?
CORO:
Degno d'invidia tu
sarai, di mirra rorido,
tornato a gioventú!
TRIGEO:
Lo credo! E allor ch'io palpi - le sue poppine, standole vicino?
CORIFEO:
Sembrerai piú felice - tu che le piroette di Grancino!
TRIGEO (Cantando):
Giusto non è? Ché d'uno scarafaggio
sul cocchio asceso, ho procurato scampo
agli Ellèni: sicché securamente
or può per ogni campo
andare a zonzo o riposar la gente!
SERVO:
Lavata e linda è la ragazza, è cotta
la torta già, s'impasta il pan di sèsamo
e tutto è pronto. Manca solo il bischero!
TRIGEO:
Via, sbrighiamoci dunque, consegnamo
al Consiglio Galloria!
SERVO:
Chi? Che dici?
Questa è Galloria, che godere un giorno
noi solevamo, alticci, a Braürone?
TRIGEO:
Proprio questa! E a pigliarla ce ne volle!
SERVO:
Padrone mio, che gusto, ogni cinque anni!
TRIGEO (Agli spettatori):
Chi di voialtri è tanto galantuomo
da prenderla in consegna, e custodirla
pel Consiglio?
(Al servo che si dà da fare oscenamente intorno al fantoccio)
Ehi tu, coso, che canneggi?
SERVO:
Nulla! Accaparro, per godermi i giochi
Istmici, un po' di tenda a questo bischero!
TRIGEO:
Chi la custodirà? Nessuno parla?
(A Galloria)
Vieni! Ti prendo e ti conduco io stesso
in mezzo a loro.
SERVO (Accenna ad uno del pubblico):
Quello lí fa segno!
TRIGEO:
Chi?
SERVO:
Chi? Arifràde!
TRIGEO:
Quello? Perché l'abbia
da investire e succhiar sino al midollo?
Ma tu, comincia, via, deponi al suolo
quelle vesti! - Oh pritani, oh consiglieri,
guardate un po' Galloria! Lo vedete,
che bazza vi regalo! Ora le gambe
potete alzarle, e principiar le feste
dell'Elevazione. Che bellezza
d'un camino, vedete!
SERVO:
E c'è del fumo!
Ché prima della guerra, a tempi antichi,
ci teneva le pentole, il Consiglio!
TRIGEO:
Or che l'avete, da domani in poi
potrete incominciar fiori d'agoni!
Lottare al suolo, stare a quattro zampe,
rovesciarla di fianco, reclinarvi
sulle ginocchia, ungervi d'olio, sbatterla
giovenilmente al gioco del cazzotto,
e coi pugni sfondare e con l'uccello.
Il terzo giorno, corsa di cavalli,
dove starà cocchiere su cocchiere,
e daran' guizzi i cocchi rovesciati
l'un su l'altro, sbuffando e mugolando,
mentre altri aurighi giaceranno al suolo,
presso la mèta, a pinco sfoderato.
Ricevete Galloria, orsú, pritani!
(S'avanza un pritano e prende il fantoccio)
Guarda, il pritano, come ha steso súbito
la mano per pigliarla! Eh, se si fosse
trattato d'introdurre a ufo, avresti
detto che la seduta era sospesa!
CORO:
È della città nostra
davvero benemerito
chi tale a noi si mostra!
TRIGEO:
Qual uomo io sono, molto - lo potrete veder meglio al ricolto!
CORO:
Ma lo vediamo già!
Che tu giungi a soccorrere
tutta l'umanità!
TRIGEO:
Aspetta a dirlo quando - un boccale berrai colmo di mosto!
CORO:
A te, dopo i Celesti, - noi sempre assegneremo il primo posto!
TRIGEO:
E molto infatti di voi benemerito
son io, Trigeo d'Atmone, io che la plebe
della città dalle fatiche e i guai,
e chi scalza le glebe
seppi affrancare, e Ipèrbolo frenai!
SERVO:
Via, che dobbiamo fare, ora, noialtri?
TRIGEO:
Offerir qualche pentolo a costei.
SERVO:
Pentoli come a Ermète, a quella pittima?
TRIGEO:
Allora un bue: v'andrebbe questa vittima?
SERVO:
È bestia da macello! Niente bue!
TRIGEO:
Forse una scrofa grande e grossa?
SERVO:
No!
TRIGEO:
Perché?
SERVO:
Basta la loia di Teàgene!
TRIGEO:
Scegli fra quel che resta!
SERVO:
Un becco.
TRIGEO:
Un becco?
SERVO:
Sicuro!
TRIGEO:
Ambigua è la parola!
SERVO:
Apposta!
Perché qualora in assemblea qualcuno
pèrori per la guerra, tutti quanti
«Non ci mettere il becco!» gli rispondano.
TRIGEO:
Dici bene! E saranno piú pacifici
in tutto il resto, e modi avran da pecori,
e piú miti saran con gli alleati!
Su', piglia e porta il pecoro, alla svelta!
Io fo venir, pel sacrifizio, l'ara.
CORO: Strofe
Oh come ciò, che i Numi - vogliono, a fine adduce la fortuna!
La va bene! ed arrivano
le cose al punto giusto, ad una ad una!
TRIGEO (Alcuni servi intanto giungono con un'ara):
La cosa è proprio chiara! - Ve' che arrivata già su l'uscio è l'ara!
CORO:
Mentre di cielo in terra
scende veloce un'aura
a spazzar via la guerra,
affrettarsi conviene:
chiaro è che adesso un dèmone
volge le cose nuovamente a bene.
TRIGEO:
Ecco il canestro - e il farro e il sale e il coltello e le bende;
e questo è il fuoco - e nulla, tranne il pecoro, s'attende!
CORO:
Ma fate presto! Ché
se mai vi vede Chèride,
a suonar col suo flauto
s'inviterà da sé;
e l'una e l'altra guancia
enfiate a stento, vorrà poi la mancia.
TRIGEO:
Piglia il canestro ed il bacino, e compi
a mano dritta il giro dell'altare.
SERVO:
Il giro è fatto. Che vuoi piú? Comanda!
TRIGEO:
Ora smorzo nell'acqua questa fiaccola!
(Eseguisce, e tirato fuori il tizzone spento e bagnato,
ne spruzza la testa della vittima)
Scuoti la testa, svelto!
(Al servo)
Porgi l'orzo!
Dammi il bacino, e làvati anche tu;
e gitta gran mazzocchio agli uditori!
SERVO:
Ecco!
TRIGEO:
L'hai dato già?
SERVO:
Sí, per Ermète!
E fra quanti uditori son presenti,
neppur uno ce n'è, senza mazzocchio!
TRIGEO:
Le donne non l'han preso!
SERVO:
Verso sera
l'avranno dai mariti!
TRIGEO:
Oh via, preghiamo!
Chi è costí? Dove sono i molti e i buoni?
SERVO (Spruzza acqua sugli spettatori piú vicini):
Serviamo questi. Sono buoni e molti!
TRIGEO:
Buoni, li credi?
SERVO:
E come no? Se stanno
fermi come piòli sotto questo
diluvio d'acqua che versiamo noi!
TRIGEO:
Preghiamo, via, preghiamo senza indugio!
(Cantando)
Regina, colendissima
Dea, veneranda Pace,
a cui presieder piace
le danze e gl'Imenei,
gradisci, o Diva, i sacrifizi miei!
CORO:
Sí, per Giove, gradiscili,
né ti prenda mai voglia
di far come le adultere,
che siedon su la soglia,
a sbirciar per la strada,
e se uno gli bada,
si ritraggon: se poi
séguita il suo cammino,
rifanno capolino.
Non far cosí, con noi!
TRIGEO:
No, per Giove, ma tutta, come addicesi
a gentilezza, svélati a chi t'ama:
a noi, che ci struggiamo, ormai da tredici
anni, per te di brama.
Fine alle zuffe ed ai tumulti metti,
sí che a chiamar ti s'abbia Sciogliguerra,
e ai sottili sospetti
onde contendevam da terra a terra.
Con succo d'amicizia, tutti gli Èlleni
stringi novellamente,
e uno spirito infondi di lievissimo
oblio nella lor mente.
Fa' che di grasce si possa vedere
pieno a ribocco il mercato: cocomeri
novelli, melegranate, agli, pere,
pomi, mantelli piccini per gli omeri
dei servi: che di Beozia ci arrivino
anatre, oche, palombi, gambecchi,
e le donzelle Copàidi a ceste:
che noi si giuochi di gomita a queste
dattorno, per comperarle, con Mòrico,
con Verdazzurro, e Telèa, con parecchi
altri ghiottoni: che arrivi per ultimo
Melanzio: e quelle vendute già siano;
e allora ei, schiusa ai gemiti la via,
intoni di Medea la monodia:
«Ahimè non vivo piú, non vivo, vedovo
fatto di lei che giace su la bietola!»
E la gente se la goda!
Tai voti esaudisci, Dea che ciascuno loda!
SERVO:
Prendi il coltello, e poi, da bravo cuoco,
fa' di sgozzare il becco!
TRIGEO:
Non è lecito!
SERVO:
Perché?
TRIGEO:
Perché la Pace non gradisce
sgozzamenti ed altari insanguinati.
Portalo dentro, accoppalo, distacca
e porta qui le cosce. - E cosí il pecoro
rimane sano e salvo pel corègo!
CORO: Antistrofe
A te dunque conviene - qui rimaner sulla soglia, e disporre
la legna per la vittima,
e tutto ciò che al sacrifizio occorre.
TRIGEO:
Di', se in maniera degna - d'un sacerdote ho messa questa legna!
CORO:
E come no? Qual cosa,
fra quante dee conoscere
il saggio, ignori? Ascosa
quale a te rimanea,
fra quante dàn di savio
e d'audace nomèa?
TRIGEO:
Molto negli occhi - deve a Lucido dar la legna ardente!
E porto pure il desco - da me: lo schiavo non mi serve a niente!
CORO:
Chi lodar non vorrà
l'uom che con suo gravissimo
stento, dai mali libera
fe' la sacra città?
Sicché, d'ora in avanti
sarà segno d'invidia a tutti quanti!
SERVO:
È fatto. Ecco le cosce. Le puoi mettere
sull'ara. Io vô per visceri e libami!
(Via)
TRIGEO:
Ci penso io.
(S'affaccenda qualche tempo intorno all'altare)
Ma non ritorna, ancora?
SERVO:
Son qui. Ti pare che sia stato molto?
TRIGEO:
Arrostiscili a modo. - Ahi! Viene un coso
coronato d'alloro! Chi sarà?
SERVO:
Un ciarlatano, pare... È un indovino!
TRIGEO:
Macché! Per Giove, è Ierocle, lo spaccia-
oracoli d'Orèo!
SERVO:
Che vorrà dire?
TRIGEO:
Verrà per fare qualche opposizione
alla pace, s'intende!
SERVO:
Chè! L'attira
l'odore dell'arrosto!
TRIGEO:
E noi facciamo
finta di non vederlo!
SERVO:
Dici bene.
IEROCLE (S'avanza con gran sussiego):
Che sacrifizio è questo? E per qual Nume?
TRIGEO (Al servo):
Bada all'arrosto, e zitto! - Attento al rene!
IEROCLE:
Non rispondete? A chi sacrificate?
TRIGEO:
La coda, come si presenta? Bene?
SERVO:
Bene, oh diletta e veneranda Pace!
IEROCLE:
Andiamo, scalca, ed offri le primizie.
TRIGEO (Risponde senza quasi guardarlo):
Meglio è prima arrostirlo!
IEROCLE:
Questi pezzi
sono arrostiti, già!
TRIGEO:
Quanto t'intrighi,
tu! Chi sei? - Qua la tavola! Qua il vino!
IEROCLE:
La lingua, a parte, va tagliata!
TRIGEO:
Lo
sappiamo bene! Sai che devi fare?
IEROCLE:
Se me lo dici!
TRIGEO:
A noi non ci parlare:
ché questo sacrifizio è per la Pace!
IEROCLE (Tonando):
Oh sciagurati e stolti mortali...
TRIGEO (Con lo stesso tono):
Ti pigli un malanno!
IEROCLE (Seguitando):
stolidi, che non sapete le mire dei Superi, e a patti,
veniste, uomini voi, con scimmie dagli occhi di fuoco!
TRIGEO (Ghignando):
Pfu, pfu...
IEROCLE:
Che ridi?
TRIGEO:
Care le scimmie dagli occhi di fuoco!
IEROCLE:
E, timidi gabbiani, credete a volpette, onde l'alma
è frodolenta, la mente dolosa...
TRIGEO (Mostrando l'arrosto):
Potesse infiammarsi,
arcifànfano, il tuo polmon, come infiammasi questo!
IEROCLE:
Se le divine Ninfe non dissero a Bàcide il falso,
né Bàcide ai mortali, né a Bàcide ancora le Ninfe...
TRIGEO:
La vuoi finir, ti pigli un canchero, di bacizzare?
IEROCLE:
non concedeano i Fati che franti cadessero i lacci
della Pace, ma prima...
TRIGEO (Al servo):
Qui sopra ci vuole del sale!
IEROCLE:
Poi che i beati Celesti non vogliono che si desista
dalle battaglie, prima che il lupo la pecora impalmi!
TRIGEO:
Come vuoi, maledetto, che il lupo la pecora impalmi?
IEROCLE:
Come la blatta avventa fuggendo i suoi fetidi peti,
come se troppo ha fretta la gatta fa ciechi i piccini,
cosí non era il tempo maturo per fare la pace!
TRIGEO:
E proseguire cosí dovevamo la guerra, ed a sorte
decider chi dovesse versare piú lagrime, quando
far si poteva la pace, regnare su l'Ellade insieme?
IEROCLE:
Non potrai fare in modo che il gambero vada diritto...
TRIGEO:
Non piú, nel Pritanèo, a scrocco pranzare potrai!
IEROCLE:
Rendere non potrai levigato l'ispido riccio...
TRIGEO:
La vuoi finire o no, di far l'imbroglione in Atene?
IEROCLE:
Quale v'affida oracolo a far sacrifizio ai Celesti?
TRIGEO:
Quest'oracolo, tanto mai bello, che Omero compose:
Poi ch'essi della guerra disperser la nuvola infesta,
strinser la pace, e sacra la reser con un sacrifizio.
Arse che furon le cosce, gustarono prima i budelli,
poi nelle coppe libarono: io davo l'esempio; né alcuno
porse la coppa fulgente a quei che responsi spacciava.
IEROCLE:
Non mi concerne, questo: non l'ha detto già la Sibilla!
TRIGEO:
Affé di Giove, Omero poeta l'ha detto pur chiaro:
Non ha tribú né legge, non ha focolare, quell'uomo
a cui son della guerra civile diletti gli orrori.
IEROCLE:
Bada che negli inganni non abbia ad avvolgere un nibbio
la tua mente e ghermisca...
TRIGEO:
Ragazzo, sta in guardia, ché questo
oracolo, mi sembra, sciagure minaccia all'entragne.
Versami un po' di vino, e porta qui pure budelli!
IEROCLE (A parte):
Se lo volete proprio, mi servo da me nel coscetto!
TRIGEO:
Si liba, si liba!
IEROCLE (Al servo):
Versa a me pure vino, e porgimi un po' di budello!
TRIGEO:
Ciò non riesce ancora gradito ai beati Celesti;
voglion che mentre noi libiamo, dai pie' tu ti levi! -
Oh veneranda Pace, con noi resta tutta la vita!
(Beve)
IEROCLE (Al servo):
Approssima la lingua!
TRIGEO:
Tu, anzi, allontana la tua!
SERVO:
Si liba!
TRIGEO (Porgendo al servo vino e un pezzo di carne):
Piglia il vino, col tuo bravo pezzo di carne!
IEROCLE:
Un pezzettino dunque nessuno mi dà di budello?
TRIGEO:
Non lo possiamo, prima che il lupo la pecora impalmi!
IEROCLE:
Sí, ginocchioni t'imploro...
TRIGEO:
Tapino, tu invano m'implori:
ché render non potrai levigato l'ispido riccio!
(Rivolto agli uditori)
Venite con noialtri, spettatori:
di visceri ce n'è pure per voi!
IEROCLE:
E per me, nulla?
TRIGEO:
Ingozza la Sibilla!
IEROCLE (Sbircia i visceri):
Mangiare solo voi? No, perdio! - Giusto
mi stanno a tiro! Adesso li sgraffigno!
(Arraffa un pezzo di budello e scappa)
TRIGEO:
Oh dàlli, oh dàlli, a Baci!
IEROCLE (L'acciuffa):
Testimonii
voi...
TRIGEO:
Di quanto sei ghiotto e gabbamondo!
(Al servo)
Dàgli giú, col bastone, al gabbamondo!
SERVO:
Dàgli tu! Io lo sbuccio di codesto
vello, che avrà scroccato con gl'imbrogli. -
Lasci quel vello, spacciasacrifizi?
Ci senti? Oh, che corvaccio, c'è venuto
dall'Orèo? Vuoi volartene all'Elimnio?

SECONDA PARABASI

CORO: Strofe
Che giubilo, che giubilo,
finirla con le buffe,
con le cipolle e il cacio!
Non godo io, no, di zuffe!
Ma con gli amici starmene
vo' presso il fuoco invece,
gli asciutti ceppi ardendovi,
d'està sbarbati; e il cece,
la faggiòla, su la bracia
arrostire; ed alla Tracia
accoccar baciozzi, quando
si sta mògliema lavando.
CORIFEO: Epirrema
Oh dolcezza insuperabile, quando il campo è seminato,
e dal cielo un Dio l'arrora, dire ad un del vicinato:
«Che si fa, di', nel frattempo, Capoborgo?» - «A me talenta
berne un dito, mentre un Nume ci protegge la sementa!»
Di favette abbrustolisci, su', mogliera, tre misure,
ed aggiungivi granone, e dei fichi scegli pure.
E una voce, nel podere, costaggiú, la Sira dia
a Manète, perché torni: tanto oggi non c'è via
di potar né di zappare; ché il podere è un acquitrino!
Su', qualcun dalla dispensa rechi il tordo e il lucherino.
C'era poi del fior di latte, quattro lepri in casa c'era,
se la gatta non le avesse sgraffignate ieri sera:
ché facea rumore dentro, e raspava non so che.
Una, oh bimbo, al babbo recane, e per noi serbane tre.
E a Bruttino di mortella chiedi inoltre un po' di rami,
con le bacche e tutto; e insieme Buonagrazia anche si chiami
- tanto è, già, tutta una strada, -
ché a vuotar venga un bicchiere
qui con noi, mentre al podere
un Iddio propizio bada.
CORO: Antistrofe
Quando le sue dolcissime
arie la cicaletta
ripete, i lemni pampini
riguardar mi diletta,
se invaian già - ché il grappolo
han primaticcio - e il fico
farsi maturo e turgido.
E allor lo gusto, e dico:
«Oh carissima stagione!»
E di timo un beverone
su ci trinco; e mi c'ingrasso,
e l'estate meglio passo,
CORIFEO: Antepirrema
che a vedermi avanti qualche maledetto comandante,
con tre ciuffi sopra l'elmo, e un mantel tutto sgargiante,
il cui panno, in Sardi proprio, dice lui, fu tinto in rosso.
Ma se a zuffa andar conviene quel mantello avendo in dosso,
Sardi in Cizico mutata sembra allora, e il rosso in giallo.
E per primo il tacco egli alza, come un fulvido ippogallo,
i cimier' crollando: io sodo sto a guardar le reti mie.
Dopo, in pace, insopportabili son le lor soperchierie;
ed iscrivono, e scancellano due, tre volte, dalla lista
questo e quello. «Domattina s'esce in campo!» - La provvista
non ha fatto un pover'uomo; perché uscendo, ancora nulla
non sapeva; e stando innanzi al Pandión, si vede sulla
lista; e corre, e amaramente, ne l'intrigo, il ciglio bagna.
Ecco qui come ci trattano, noi venuti di campagna;
e riguardo ai cittadini hanno sol questi codardi,
ai Celesti invisi e agli uomini; ma scontare presto o tardi
mi dovran le loro colpe,
se Dio vuol; ché non mi piace
chi leon si mostra in pace,
e in battaglia astuta volpe.

PARTE TERZA

TRIGEO:
Evviva, evviva!
Ce n'è venuta, di gente, al banchetto
di nozze!
(Dà al servo una cresta d'elmo)
Prendi questa cresta, e sbratta
la tavola. Oramai non serve ad altro!
E sopra il desco, mettici panini,
ciambelle, tordi arrosto, e lepri a iosa.
(Giungono un mercante di falci e un mercante di secchie)
MERCANTE DI FALCI:
Dov'è, dov'è Trigeo?
TRIGEO:
Rosola tordi!
MERCANTE DI FALCI:
Carissimo Trigeo, che macca è stata
per noi la pace ch'ài conclusa! Prima,
non arrivavo a vendere una falce,
neppure per un soldo! Ora le vendo
per cinque dramme. E lui vende tre dramme
le secchie per i campi. Ora, Trigeo,
di queste falci e queste secchie, pigliane
pure quante ne vuoi, senza pagare.
(Gli offre anche leccornie)
Gradisci pure questa roba. Abbiamo
prelevato dal frutto della vendita
questi regali per le nozze tue!
TRIGEO:
Posate, presto! - Entrate nella sala
del banchetto. Vedete, che un mercante
d'armi s'avanza, pieno di corruccio.
(S'avanzano tre mercanti d'armi carichi di loro mercanzie)
UN MERCANTE D'ARMI:
Trigeo, m'hai messo in mezzo ad una strada!
TRIGEO (Accennando ai ciuffi degli elmi):
Che hai, tapino? Una ciuffite acuta?
MERCANTE D'ARMI:
M'hai rovinata l'arte, m'hai levato
il pan di bocca. E pure qui al lanciaio!
TRIGEO:
Quanto ne vuoi, di questi due pennacchi?
MERCANTE D'ARMI:
Quanto


Primaflora, il saggio dalla doppia personalità
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